SUD HA RISORSE PER DIVENTARE AVAMPOSTO DI SVILUPPO E VINCERE DISUGUAGLIANZE
Le disuguaglianze sono un problema che riguarda tutto il mondo, e tutta l’Europa, con cause variegate e complesse che non starò qui a elencare. Fatto sta che in Europa il 10% più ricco detiene il 36% del reddito. E sul fronte della disuguaglianza l’Italia è il paese messo peggio tra i principali Stati europei.
Nel nostro paese, come ormai ripeto da tempo, la disuguaglianza si declina anche e soprattutto come divario territoriale. Ce lo ha ricordato, ancora una volta, lo SVIMEZ con il suo Rapporto del 2021.
Il sociologo Domenico De Masi, che è sempre un piacere leggere, ci ricorda oggi dalle pagine del Fatto che la disparità tra Nord e Sud ha radici antiche e che essa fu arginata sensibilmente grazie agli interventi della Cassa del Mezzogiorno, pur con tutte le lacune e gli errori che portò con sé. Quando questa fu smantellata – per una precisa ragione politica? – i divari ritornarono come e più di prima. De Masi, però, scrive una cosa che, sia pur con l’intenzione di un benefico pungolo, francamente stupisce non poco: “Questo dimostra che il sud, senza la respirazione bocca a bocca di un intervento straordinario, è incapace di mettere a frutto le sue risorse”. Il rischio, quindi, è che anche i fondi del PNRR si traducano in un buco nell’acqua se non saranno messi a frutto tempestivamente e tramite progetti validi.
Altrimenti, il divario tra Nord e Sud ritornerà ad aumentare. A parte le omissioni di De Masi sulle cause storiche , economiche e soprattutto politiche che hanno portato il Sud a non poter mettere a frutto le sue enormi potenzialità, direi che se ne può trarre uno spunto di riflessione per orientarci nelle scelte.
Il punto è che l’intento sacrosanto del PNRR di intervenire sugli ambiti di maggiore divario, infrastrutture, scuole, ospedali ecc., deve avere come obiettivo finale lo sviluppo sano dei territori del sud, oltre che il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti. In altre parole, se lo Stato interviene su quei fronti, deve però contestualmente mettersi o rimettersi in moto tutto il tessuto meridionale perché l’ammodernamento pubblico sia duraturo e proficuo.
Come giustamente fa notare il direttore dello SVIMEZ Luca Bianchi in un’intervista sul Corriere del Mezzogiorno, se la tendenza generale è quella di creare il deserto al Sud, allora a che serve investire in strade, ferrovie o altre infrastrutture? Per fare un esempio, Leonardo ha annunciato la cassa integrazione per 3.400 lavoratori al Sud e pare abbia intenzione di spostare le sue attività al Nord. Rientra nel vecchio schema: al Sud solo agricoltura e turismo, quando va bene, tutto il resto al Centro-Nord. Eppure, non molto tempo fa Leonardo si era impegnata a investire 360 milioni al Sud per ammodernare gli impianti e creare centri di competenza.
Perché ha cambiato idea?
E, nel frattempo, qual è la posizione del governo su questo?
Una proposta che mi pare sensata, a tal proposito, viene da tre sindaci che hanno scritto a Draghi per sollecitare una norma che argini la pratica della delocalizzazione e che magari costituisca la base di partenza per una riflessione seria in ambito europeo.
Chi è in trincea come lo sono i sindaci, sa che la madre di tutte le battaglie è il reddito che i territori riescono a produrre e trattenere. Tanto più in un contesto come quello attuale caratterizzato da federalismo fiscale e pareggio di bilancio per gli enti locali.
Infine, il sud potrebbe essere l’avamposto di una nuova frontiera imprenditoriale puntando sulla produzione le a distribuzione delle fonti da energia rinnovabile e realizzando così davvero quell’idea di cui in tanti parlano oggi, cioè diventare un hub di sviluppo nel #Mediterraneo.
È dando a tutti i settori sociali di un #territorio, imprenditori compresi, la possibilità di contribuire realmente al suo sviluppo che la #disuguaglianza si può combattere in maniera duratura.
Questo libererebbe finalmente il #Sud dalla patina ‘assistenzialista’ in cui per troppi decenni lo si è voluto scientemente tenere.
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