SE I SALARI RISTAGNANO NON È COLPA DEL COVID

 

C’è un fenomeno che scorre sotterraneo e che invece pesa come un macigno sul benessere del nostro Paese. Il ristagno dei salari.

Viene fuori, infatti, che negli ultimi vent’anni lo stipendio medio annuale dei lavoratori italiani è rimasto praticamente invariato, con un aumento di un misero 3,1% dall’entrata in vigore dell’euro.

Eppure, non ci vuole un economista per sapere che il costo della vita, nel frattempo, è cresciuto enormemente. Per la precisione, è quasi raddoppiato. Chiunque va a fare la spesa da più di vent’anni sa che le cose costano il doppio rispetto a quando c’era la lira.

Questo significa vagheggiare ritorni alla moneta nazionale?

Non è questo il punto.

Il punto è che se il COVID ha messo in evidenza ed esacerbato le iniquità del sistema socioeconomico, e certamente non solo in Italia, queste tendenze distruttive esistevano già da prima.

Nell’ultimo anno si sono persi quasi un milione di posti di lavoro. Un numero abnorme di lavoratori, circa un milione e mezzo, vive sotto la soglia di povertà. I lavori precari e atipici costituiscono ormai un bacino vastissimo. Basti pensare che tra il 2010 e il 2019 il numero di part time involontari è aumentato del 72%.

Naturalmente a fare le spese di questa precarizzazione e degradazione del reddito e del lavoro sono principalmente i giovani, le donne e il Sud in generale.

Come si può pensare che, nel 2021, con il costo della vita così elevato, un giovane possa sopravvivere con 800 euro al mese, per non dire pensare di mettere su famiglia?

La questione, quindi, non è solamente garantire l’occupazione ma garantire un’occupazione dignitosa. Senza di essa, non vi può essere nessun solido progetto di vita, né individuale né collettivo.

Bisogna emanciparsi dalla visione aziendalista del lavoro come di un costo e comprendere che adeguate tutele per i lavoratori si traducono sempre in sviluppo per l’intera società.

Non è possibile che nell’ultimo anno, stando ai dati Eurostat, l’Italia sia il paese in Europa che ha perso la cifra più alta di salari: 39,2 miliardi di euro, con un calo del 7,4%. La media europea è di -1,92%.

Certo, a pesare particolarmente è stata l’emorragia di posti di lavoro determinata dalla pandemia. Ma se il sistema fosse stato più solido, avrebbe reagito meglio al virus come è successo negli altri Paesi.

Non è questa la strada. La strada è semmai creare posti di lavoro dignitosi e stabili, con uno sviluppo armonico che segua realmente il percorso ecologico, inclusivo ed equo indicato dalla stessa Unione europea.

Ciò deve avvenire innanzitutto al Sud, per troppo tempo lasciato ai margini delle politiche pubbliche. Ma lo stesso vale per ogni parte d’Italia e d’Europa. Altrimenti non avremo più una società ma una massa informe di persone frustrate, isolate e incapaci di dare forma e senso al futuro. Soprattutto i più giovani.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *