Il Presidente Bardi non ha colpe circa lo stato della sanità lucana

Sanità lucana specchio di una situazione nazionale. Bardi non ha colpe

La Basilicata, durante la spending review, poteva destinare le royalties del petrolio o dell’acqua a favore della sanità regionale. Nessuno lo ha mai fatto.  Oggi, invece, dopo due anni e mezzo di pandemia, si tenta di incolpare Bardi di responsabilità politiche sulla sanità che non ha. La sua giunta è la prima nella storia che restituisce ai lucani le loro risorse. Dopo il bonus gas (78 milioni di euro in un anno a 140 mila famiglie), lo stesso beneficio arriverà presto su acqua ed energia elettrica. Sono misure economiche redistributive, utili ad abbattere l’inflazione che ha colpito il potere di acquisto delle famiglie lucane. Chi può vantarsi di aver fatto le stesse cose in passato o in altre regioni? 

Le polemiche strumentali di questi giorni sulle responsabilità politiche di Bardi circa la situazione della sanità lucana, meritano di spezzare una lancia a suo favore.

Ridurre i problemi sanitari che affliggono i lucani nel perimetro di una regione piccola come la nostra non aiuta ad affrontare con la dovuta serietà un tema di rilevanza nazionale, su cui i dati Istat e la relazione della Corte dei Conti dovrebbero far riflettere tutte le forze politiche. Dagli alleati di centro destra che scalpitano e appaiono confusi sulla linea politica in vista delle prossime candidature regionali, ad un centro sinistra che ha affossato il sistema sanitario nazionale e regionale negli ultimi decenni, definanziandolo. 

La crisi storica del sistema sanitario nazionale richiederebbe investimenti a lungo termine ed è tale per cui Papa Francesco ha usato l’espressione di “povertà di salute” in un’udienza ai membri dell’Associazione religiosa Istituti socio-sanitari. Nel suo discorso si è fatto riferimento al corteo dei “sacrificati” in questi anni dai tagli alla Sanità, in continua, preoccupante crescita e possibile causa di un aumento di mortalità, evitabile per mancata tempestività delle cure.

Chi sono i sacrificati?

Sono i tanti italiani, che per mancanza di mezzi non riescono ad accedere alle cure; che hanno un problema a pagare il ticket; che, bloccati dalle liste di attesa, non riescono a raggiungere i servizi sanitari. “Un’eutanasia nascosta e progressiva”, l’ha definita il pontefice, che prelude ad un futuro di cattiva salute, dipendenza, decadimento fisico. 

Quel che accade anche nella nostra piccola regione è, dunque, il riflesso condizionato di una situazione nazionale in cui, da un lato, la spending review sanitaria, iniziata nel 2011, è ancora in corso; dall’altro, la diffusione del Covid in Italia e in gran parte del mondo sta ancora impattando i sistemi sanitari e la capacità delle aziende sanitarie di rispondere ai bisogni dei cittadini. 

Tuttavia, garantire a tutti i cittadini tempi di accesso alle prestazioni sanitarie certi e adeguati rappresenta un obiettivo prioritario per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), il cui compito è appunto quello di soddisfare i bisogni assistenziali secondo i principi dell’equità di accesso alle prestazioni, dell’efficienza, dell’efficacia, della correttezza e della trasparenza. 

Assistiamo invece ad una rinuncia delle prestazioni sanitarie che può aver diverse motivazioni, economiche, logistiche e legate alla lunghezza delle liste d’attesa, di diretta responsabilità del servizio sanitario. E spesso si è costretti a migrare in altre regioni per curarsi.

Le liste di attesa

Nel caso delle liste di attesa in tutta Italia i tempi standard di erogazione delle prestazioni si sono dilatati a causa della prevenzione dei contagi (la durata delle visite specialistiche è infatti aumentata da 20 a 45 minuti) e hanno avuto un impatto gestionale rilevante non solo in termini di riduzione della produttività ma anche di aumento della discrezionalità e variabilità gestionale.

Il fenomeno dei tempi d’attesa ha una notevole rilevanza per diversi ordini di ragione:

i) impatta direttamente sulla fruizione dei servizi sanitari da parte dei cittadini e può influenzare notevolmente gli esiti dei processi di cura;

ii) è spesso al centro del dibattito politico, indicato come uno dei «problemi» del SSN su cui ciclicamente i governi si interrogano e propongono soluzioni «sistemiche»;

iii) richiede sia interventi «macro» a livello di organizzazione del sistema nel suo complesso, sia interventi «micro» che devono affiancarsi al livello regionale e poi successivamente a quello aziendale.

I dati della Corte dei Conti

I numeri contenuti nella recentissima relazione annuale pubblicata dalla Corte dei Conti sullo stato delle Regioni italiane (2019-2022) rappresentano l’ennesima conferma di un divario che si fa fatica a colmare: il Sud continua a ricevere meno risorse dallo Stato e gli investimenti sono più limitati rispetto al Nord. Non solo. Ma mentre le regioni meridionali stringono la cinghia e riducono le passività, le regioni del Nord aumentano allegramente il disavanzo.

La prima conseguenza è che la mobilità passiva nel Sud torna a salire in modo considerevole.

Nell’area della prevenzione spicca, ad esempio, il basso tasso di adesione agli screening per le principali patologie tumorali in gran parte delle regioni del Mezzogiorno.

Stando ai dati della Corte dei Conti, su 166 strutture sanitarie, più della metà (51,7%) sono state costruite  prima del 1960. I nuovi ospedali sono sulla carta, gli adeguamenti di quelli attuali permettono di tirare a campare ma non risolvono.

Se fino a qualche tempo fa si parlava di un sistema sanitario nazionale, pubblico e universalistico, giunto a un punto di rottura e si discuteva della sua sopravvivenza, oggi la malattia cronica del definanziamento, in atto da anni, a causa della spending review avviata dai governi di centro sinistra (governo Monti 2011), sta provocando una crisi storica che richiederebbe grossi investimenti e meno tifoserie tra le opposte fazioni. 

Costituzione calpestata. Lo dicono i dati Istat

Essere curati meglio o peggio a seconda del portafoglio o del luogo di residenza non è giusto e non è compatibile con la nostra Costituzione che, con l’art 32, impone allo Stato di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. E afferma la necessità di garantire cure gratuite agli indigenti.

Che questa disposizione stia perdendo gran parte della sua efficacia, lo testimoniano i dati del recente rapporto Istat: 2,5 milioni di persone rinunciano alle cure a causa delle liste d’attesa del servizio sanitario nazionale e 1,7 milioni di soggetti sono affetti da patologie croniche.

La rinuncia alle cure tocca ogni parte d’Italia, raggiungendo punte di intollerabilità al Sud.

Che fine hanno fatto i LEA?

I livelli essenziali di assistenza (Lea) rivestono un’importanza fondamentale per la garanzia del diritto alla salute in tutto il territorio nazionale, ma il ritardo del loro aggiornamento ha influito negativamente sulla tutela effettiva del diritto all’assistenza sanitaria, specie in quelle realtà regionali in difficoltà per motivi di organizzazione e di gestione delle aziende sanitarie.

Il nostro Paese, sotto scacco dell’emergenza economica, ha sacrificato i diritti sociali. L’ultimo traguardo per la garanzia della tenuta del sistema sembrava la Corte costituzionale, che aveva richiamato lo Stato alle proprie responsabilità. Con riferimento ai Lea, per esempio, l’art. 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012, impongono allo Stato il dovere di concorrere al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti sociali nelle fasi avverse del ciclo economico. Ma nonostante questo i provvedimenti adottati non sembrano essere andati in questa direzione. Il fondo sanitario nazionale è stato ridotto.

Troppi tagli

Tra il 2010 e il 2020 la sanità pubblica ha subito tagli per 37 miliardi di euro e oggi l’Italia investe la percentuale più bassa del Pil in Sanità rispetto ad altri Paesi europei.

Eppure la Basilicata aveva a disposizione uno scudo finanziario e pure un ministro della Salute!

Nella nostra regione i fondi per la compensazione ambientale derivanti dalle estrazioni petrolifere non sono stati utilizzati con intelligenza. Rifare venti volte gli stessi marciapiedi, costruire inutili piscine olimpioniche e adoperare risorse preziose per altri sprechi vari, ha ottenuto il solo obiettivo di foraggiare il consenso di amministratori bravi anche nel loro pellegrinaggio politico. (link Accordo con ENI)

Speranza non ha mostrato di avere idee su come riformare la sanità

La nostra regione durante il governo Conte II e Draghi ha avuto pure un ministro della Salute lucano – lucano di nascita ma non di elezione – che, seppur di centro sinistra, non fu accolto bene da Erminio Restaino, ex esponente del Pd lucano, il quale sui social scrisse:

“Il più inutile, infido, indegno dei dirigenti politici della Basilicata è ministro”. 

Speranza non ha mostrato di avere idee su come riformare la sanità, per lui era essenziale spendere il più possibile per potenziarla (assunzioni, assistenza territoriale, aumento dei posti letto in ospedale, ecc.). Alle critiche da sinistra da perfetto democratico ha sempre risposto con l’indifferenza quale negazione dell’avversario.

Eppure egli ha lottato per avere subito fondi per l’assunzione di personale che coprisse le carenze degli organici, strutturali in Italia. Ha cercato di portare la sanità al centro delle politiche economiche, per aumentare i finanziamenti destinati a un sistema sfiancato da tagli e pandemia. Ha gestito come meglio ha potuto il gestibile, ma di risultati per la Basilicata non ne abbiamo visti, come lamenta oggi il centro sinistra facendo finta di non ricordare che alla guida della Sanità nazionale nel triennio 2019-2022 c’era uno di loro.

La verità è che se non si troveranno almeno quattro miliardi ogni anno per i prossimi cinque anni, per portare stabilmente la nostra spesa sanitaria al 7,5% del Pil, si rischia di rendere irreversibile la crisi della sanità pubblica. Il servizio sanitario, pur con tutti i suoi acciacchi, resta lo strumento migliore, quindi da finanziare maggiormente, non da definanziare.

Bardi non può fare i miracoli, ma è il vero Robin Hood

In questo scenario Bardi non ha nessuna colpa, se non di essere l’ultimo arrivato. Le lamentele sui disservizi del sistema sanitario regionale, su cui le opposizioni tentano di aggrapparsi con campagne ostili, sono un piccolo pezzo del mosaico nazionale, come dimostrano i dati; sebbene la sanità sia materia di competenza regionale concorrente e le Regioni possano adottare «una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale».

Per fronteggiare il definanziamento statale, perchè la Basilicata in passato non ha destinato le royalties del petrolio o dell’acqua a favore della sanità regionale?

Forse è mancata quella lungimiranza politica. Che Bardi, da vero Robin Hood, ha invece dimostrato con le sue misure  (uniche in Italia!) nel difendere il ceto medio, le fasce popolari e, soprattutto, i consumi interni alla regione, che oggi risulta essere la regione meno cara.

Quello che non ha fatto il centro sinistra

Queste misure spettavano alla sinistra, che non le ha fatte e adesso l’asse della politica si è spostato a destra anche in Basilicata. Oggi le forze di sinistra sono in crisi quasi ovunque perchè non hanno saputo rappresentare gli interessi delle famiglie in difficoltà. Il loro dibattito politico appare intriso di propaganda lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali.

Forza Italia in Basilicata, fedele alla sua purezza popolare, sta dimostrando di essere la sinistra della destra, mentre il centro sinistra per l’aria che tira è alla ricerca disperata di un candidato presidente che non sia espressione degli apparati (vecchi e nuovi) dei partiti come se i lucani avessero l’anello al naso.

I dirigenti del centro sinistra non hanno capito due cose importanti. La prima. Gli elettori lucani sanno che il centro sinistra è incapace di assicurare rinnovamento e compattezza. E se dovesse allearsi con i cinque stelle non sarebbe più credibile. La seconda. Che Bardi è’ l’unico governatore che non ha mai sacrificato gli interessi dei cittadini lucani e sta dimostrando di preoccuparsi “concretamente” delle loro difficoltà presenti e future per combattere i rincari. Nelle stime più diffuse si dice infatti che l’inflazione durerà anni, ma solo Bardi sinora ha dimostrato di dare risposte non demagogiche che impattano sui bilanci delle famiglie a fine mese.

Se le varie giunte nei decenni (tutte di centro sinistra) non avessero sciupato le risorse derivanti dalle estrazioni petrolifere, sicuramente avrebbero potuto investire di più nei servizi sanitari regionali, attenuando i disagi ai lucani. E oggi, forse, nelle classifiche Gimbe saremmo stati dietro l’Emilia-Romagna!

Bardi in un quinquennio, eroso da una pandemia di due anni e mezzo, può risolvere tutte le questioni della sanità lasciate pesantemente in eredità dai suoi predecessori?

Vediamo quale situazione ha ereditato.

Nel decennio 2010-2019, secondo i dati Gimbe, se analizziamo le risorse ripartite alle Regioni secondo la Griglia LEA  (strumento utilizzato dal Governo per monitorare l’erogazione delle prestazioni essenziali), il 23,6% delle risorse assegnate alla Basilicata non ha prodotto servizi per i cittadini lucani.

Nelle classifiche che permettono di identificare per ciascuna Regione punti di forza e criticità nell’erogazione dei LEA, la Basilicata si collocava al 20° posto (il penultimo tra tutte le regioni italiane!) per l’area di assistenza “Distrettuale“, al 16° posto per l’area di assistenza “Prevenzione” (il quintultimo tra tutte le regioni italiane!)  e al 10° posto per l’area di assistenza “Ospedaliera” (a metà classifica).

Più attenzione dal Governo

Pretendere che Bardi scalasse queste pessime classifiche in due anni (al netto della pandemia) resta un esercizio demagogico da parte delle opposizioni, specie se si considera che sono proprio i governi centrali che trascurano il nodo politico delle risorse al Sud, dove il problema è drammatico.

Nelle dichiarazioni programmatiche dell’ ottobre scorso, la parola “sanità” non è mai stata pronunciata nella lunga esposizione della premier Meloni che, pur consapevole dell’importanza di prevenire e curare bene le malattie, ha ben chiaro il quadro della finanza pubblica. 

Nessun parlamentare lucano ha avuto la forza e il coraggio, in quell’occasione, di far notare alla premier che nella loro piccola regione c’era un’emergenza sanitaria da risolvere e pure qualche inchiesta. 

Vedremo se nella prossima finanziaria i nostri parlamentari lucani si batteranno per ottenere fondi adeguati per la sanità nazionale e regionale. Sarà quello il loro vero banco di prova in vista di un congelamento della spesa pubblica o di un ulteriore taglio, a causa di un’ inflazione galoppante.

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