PNRR, PACE FATTA ALLE PALME

I rischi di perdere le risorse europee del Pnrr dipendono dalle inefficienze (storiche) della nostra pubblica amministrazione o sono imputabili al mancato rispetto degli impegni che da Bruxelles si ritengono ormai improrogabili? A quanto pare è pace fatta tra Roma e Bruxelles, ma non bisogna dimenticare gli insegnamenti della storia dei grandi investimenti. Rispettare i vincoli di destinazione delle risorse al Sud con più collaborazione istituzionale e bandire gli egoismi al Nord di Sala, Toti, Zaia&Co

Di fronte ai ritardi del Pnrr e al rischio di non riuscire a spendere tutte le risorse, il presidente Mattarella ha convocato d’ urgenza la premier Giorgia Meloni, con la quale ha avuto un lungo colloquio. Alla Presidenza della Repubblica non è sfuggito il rimpallo  di responsabilità verso i precedenti governi Conte e Draghi che avrebbero lasciato in eredità una macchina dal motore incagliato.

L’Italia è il paese meno in grado di utilizzare le risorse europee

Che il motore sia incagliato si tratta di una nostra vecchia abitudine. Ce lo dice la storia e i numeri della capacità di spesa dei fondi europei: l’Italia non è mai stata brava nell’assorbimento di risorse ingenti. Ogni anno restituiamo all’Europa più della metà degli stanziamenti.

Nel bilancio pluriennale 2014-2020 i paesi europei hanno speso in media solo il 55 per cento delle risorse stanziate. L’Italia è stato il paese meno in grado di utilizzare le risorse europee, con una percentuale di fondi assorbiti pari al 44 per cento.

Fonte: Corte dei Conti europea

Il modello virtuoso della Cassa del Mezzogiorno

Giorgio La Malfa, a tal proposito, in un articolo del 2020 aveva proposto di istituire un’agenzia sul Pnrr, modello Cassa del Mezzogiorno (Casmez), in grado di assicurare all’Italia e all’ Europa un’efficiente preparazione ed esecuzione del PNRR, affidando la gestione ad una personalità in grado, per prestigio e competenza, di assicurare la spesa efficace e tempestiva dei fondi attribuiti: 209 miliardi di euro da spendere in 6 anni.

Lo spunto degli americani

Del resto erano stati gli americani, in precedenza a suggerirlo,  ad un pugliese come Donato Menichella – all’epoca miglior governatore della Banca d’Italia sulla scena internazionale secondo il Financial Times. Negli anni 1947-48 aveva sollecitato la Banca Mondiale a concedere dei finanziamenti all’Italia, per affrontare il problema delle aree sottosviluppate. Gli era stato risposto che: “l’ipotesi sarebbe stata accolta solo in presenza di un ente apposito per la progettazione e realizzazione delle opere“.

Il motivo scaturiva dal fatto che l’Italia in occasione del precedente piano Marshall non era riuscita a fare pieno e buon uso dei fondi del piano a causa dell’inefficienza della pubblica amministrazione.

Fù così che nel 1950, nacque la Cassa per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno, guidata da Pasquale Saraceno,  che nei suoi primi anni  fù un modello di efficienza ed eseguì opere straordinarie dirette «al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale». Ciò fù reso possibile anche su impulso di Donato Menichella che spinse il mondo politico e imprenditoriale a una forma di gratitudine e di riconoscenza verso la sua terra.

Purtroppo, nell’immaginario collettivo la “Cassa per il Mezzogiorno” viene spesso erroneamente associata allo spreco di risorse pubbliche per cui in un prossimo articolo faremo luce su quello che ha significato il suo ruolo per il Sud del paese.

La Casmez fù soppressa, dopo varie proroghe, nel 1984 e sostituita due anni dopo, negli obiettivi e nelle funzioni, dall’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno (Agensud), anch’essa soppressa nel 1992.

La nascita dell’ Agenzia per la Coesione Territoriale

Dopo Agensud, nel 2013 prende il via l’Agenzia per la Coesione Territoriale con l’obiettivo primario di monitorare la gestione, per molto tempo fallimentare, dei fondi europei destinati allo sviluppo delle aree arretrate d’Europa e porre in atto strategie tese a creare uno sforzo comune delle amministrazioni locali.

Tra le sue funzioni, dunque, anche quelle di fornire assistenza tecnica alle amministrazioni che gestiscono gli interventi europei, controllare la realizzazione dei progetti finanziati ed ottenere miglioramenti in termini di rapidità, efficacia e trasparenza, esercitando anche poteri sostitutivi in caso di gravi inadempienze, inerzie e ritardi a livello statale o territoriale.

La stessa SVIMEZ, Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, fondata nel 1946 da Donato Menichella, tuttavia, aveva già messo in risalto l’obiettivo non solo di gestione dei fondi, ma di vera e propria programmazione di interventi più sistemici, cercando di porre fine ad un utilizzo errato di fondi.

I primi passi del Pnrr con Conte e Draghi

Il governo Conte, dopo aver ottenuto i fondi dall’Europa, ascoltò evidentemente i suggerimenti di La Malfa e quando scrisse il Pnrr, progettò una cabina di regia a Palazzo Chigi con 6 top manager e 300 tecnici per controllare progetti e gare. L’idea apparve sin da subito un golpe per Renzi e Salvini, sicchè tutti i media & poteri forti bombardarono all’unisono.

La ricca torta di finanziamenti faceva gola a tutti. Fù così che Renzi si prese l’incarico di far cadere il governo e al Comune di Firenze fù regalato lo stadio che prima non c’era nel Pnrr. Adesso Bruxelles non vuole opere come quella di Firenze o del Bosco dello Sport a Venezia, vere e proprie colate di cemento! All’epoca, evidentemente, ci fu una svista.

Draghi completò il Pnrr e trasferì la cabina di regia da Chigi al Mef. Fù sempre lui a creare le condizioni perchè il lavoro sul Pnrr potesse continuare a prescindere dai successori.

Quando è arrivato il governo Meloni la cabina di regia sul Pnrr è stata trasferita nuovamente dal Mef a Palazzo Chigi, passando da tre livelli di governance ad uno solo, perdendo così altro tempo. Un tempo prezioso che non ha consentito all’Italia di “mettersi alla stanga” come diceva De Gasperi e come ha ribadito Mattarella.

L’Ue nel frattempo ha congelato la nuova rata da 19 miliardi. Ora occorre completare alcune riforme,  rimodulare il Pnrr, rifare i progetti che non vanno, evitare scontri frontali con la Commissione e concentrarsi sull’attuazione del piano.

Frenare gli egoismi del Grande Nord

Il rischio reale però è quello di perdere molti di quei finanziamenti che non saremo capaci di spendere. E qui ci giochiamo la credibilità politica del Paese verso il resto dell’Europa.

Gli egoismi dei governatori e sindaci del Grande Nord (da Toti a Sala, da Zaia a Fontana), che reclamano per i loro territori le somme non spese al Sud, vanno frenati di fronte alla reputazione che si gioca tutto il nostro Paese. Il loro approccio è sbagliato e pregiudica l’obiettivo economico del PNRR  che così rischia di non essere raggiunto. Quegli amministratori dimenticano la ratio del Pnrr che punta proprio a ridurre i divari territoriali vincolando per legge il 40% delle somme al Mezzogiorno. Un primo avviso la Commissione ce lo ha dato proprio sugli stadi a Firenze e Venezia.

Sala & Co stiano tranquilli! La loro campagna mediatica ha le armi spuntate: qualora le amministrazioni dovessero risultare inadempienti, si può arrivare al potere di affiancamento e sostitutivo dello Stato che è già previsto affidato alla Cabina di Regia del Pnrr.

Non c’è una norma che preveda il potere sostitutivo di Milano e dintorni!

Più collaborazione istituzionale non guasterebbe

Quando si guida una Comunità la collaborazione istituzionale non è forma, ma sostanza. Se i comuni virtuosi del Nord volessero collaborare istituzionalmente potrebbero affiancare con le loro risorse umane i comuni meno attrezzati del Sud (questa si che sarebbe vera solidarietà visto il ridotto capitale umano nella pubblica amministrazione al Sud), ma le somme spettanti al Sud devono per legge essere investite al Sud!

Dunque, anche in caso di inadempienze o lungaggini delle singole amministrazioni locali, il Mezzogiorno resta titolare della quota ad esso assegnata.

Gli amministratori del Grande Nord, peraltro, dimenticano che l’entità del contributo all’Italia,  sia stato reso tanto imponente proprio dai più bassi indici di sviluppo e occupazione del Mezzogiorno, in particolare i livelli di reddito pro capite e di occupazione. Se quelle risorse non vengono spese al Sud, tornano indietro all’Europa non vanno ai territori della Lega.

Il Governatore Occhiuto (FI) della Calabria ha così risposto a Sala: “Le dichiarazioni di Sala sul Pnrr? Questa sì che sarebbe una secessione“. “Sul Pnrr Sala sbaglia completamente approccio“.

Investimenti impossibili senza riforme

A molti però sfugge anche un piccolo particolare.  il Pnrr è stato costruito su due presupposti: riforme e investimenti. Le riforme devono essere attuate prima che partano gli investimenti per impedire che  gli stessi appena avviati si fermino.

Quante sono le opere incompiute che dopo essere partite di corsa si sono poi fermate?

In tema di riforme, ad esempio, relative al codice degli appalti redatto dal Consiglio di Stato, si volevano evitare stazioni appaltanti troppo piccole e non in grado di concludere senza errori le procedure.

Ma Salvini per raggirare l’ostacolo ha previsto che le “unioni di comuni” possano diventare stazioni appaltanti, svuotando così la norma. Ed ha anche eliminato la valutazione professionale del lavoro delle stazioni appaltanti. Per velocizzare le opere in un momento di emergenza è necessario però evitare troppe critiche e trovare un punto di equilibrio. E’ risaputo che tra gli amministratori la ‘paura delle firma’ frena gli investimenti, ma saranno le Procure successivamente a perseguire gli eventuali reati per corruzione e criminalità negli appalti. L’abuso d’ufficio, del resto, non è stato  abolito. E qualsiasi norma introduca aree di impunità nella gestione delle risorse, dovrà tener in debita considerazione il fatto che l’Europa ci chiederà il conto.

Non è, dunque, la quantità di liquidità a generare valore e crescita, ma la qualità delle riforme strutturali associate agli investimenti.

La pace di Cernobbio

Ma a mettere pace da Cernobbio sull’esito del percorso del Pnrr è stato il commissario Gentiloni. Il quale non ritiene che siano a rischio l’arrivo dei 19 miliardi della terza rata perchè il successo del Pnrr è un obiettivo comune di Roma e Bruxelles. E anche sulla rimodulazione del piano che comporterà uno spostamento delle scadenze oltre il 2026 c’è un margine possibile dall’Ue. La revisione dei piani è già avvenuta per Lussemburgo, Germania e Finlandia. 

Il punto che sappiamo tutti – afferma Gentiloni – è che l’assorbimento di risorse così ingenti non è facile in Italia e quindi, man mano che il piano va avanti, la strada diventa più impegnativa ma anche più risolutiva dal punto di vista economico”.

E’ opportuno, dunque, che la postura delle opposizioni sia più collaborativa. Fare opposizione al PNRR, significa fare opposizione al Sud, al Paese e all’Europa. Il Pnrr l’Europa lo ha fatto per salvare l’Italia! E lo ha fatto emettendo per la prima debito pubblico europeo.

Il Mezzogiorno questo treno non deve farselo passare davanti

Nella rimodulazione è necessario intraprendere iniziative coerenti con lo sviluppo del meridione, avendo però una visione lungimirante che non cada ancora una volta nella problematica dell’ insostenibilità economica del Mezzogiorno.

La programmazione occorre basarla in un’ottica lungimirante, creando uno sviluppo economico sostenibile di lungo periodo, altrimenti ci ritroveremo nuove ‘cattedrali’ nel deserto del Mezzogiorno.

Non dobbiamo, in conclusione, correre il rischio di trovarci di fronte, ancora una volta, ad un progetto fatto di grandi idee, ma con sviluppi poco attenti alla vera problematica del Sud. Così come dobbiamo scongiurare  il pericolo di un “inaridimento burocratico” legato all’inefficienza che il sistema delle Regioni ha fatto emergere in questi anni, basato spesso su uno sviluppo clientelare della gestione e dell’utilizzo dei fondi europei.

I nostri figli non ce lo perdonerebbero mai!

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