Lo scenario Ispra del 2021 non ha fatto riflettere nessuno
Secondo Ispra la regione con la maggior percentuale di popolazione (62,5%) e famiglie (61,8%) a rischio di alluvione in uno scenario di pericolosità media era proprio l’Emilia Romagna. Eppure nel solo 2021 sono state autorizzate colate di cemento armato per costruire 658 ettari in Emilia-Romagna dove un sesto del territorio (il 14,6%) “è classificato a pericolosità elevata e molto elevata nei Piani di Assetto Idrogeologico”. Dopo sette anni si è sbloccato il piano di adattamento climatico.
Di fronte alla tragedia che ha investito l’Emilia-Romagna, il Paese saprà reagire con la solidarietà, come ha sempre dimostrato, e aiuterà quella regione a rialzarsi. Vanno sospesi tutti gli adempimenti fiscali, le rate dei mutui e individuate tutte le risorse necessarie per mettere in sicurezza i territori, per i ristori e gli indennizzi a chi ha perso tutto.
Ma un dato è certo, la natura, quando vuole, può sfuggire al controllo dell’uomo.
Profetiche le parole di Leonardo da Vinci che già qualche secolo fa scriveva: “L’acqua disfa li monti e riempie le valli, e vorrebbe ridurre la terra in perfetta sfericità, s’ella potessi”.
Di acqua ne è venuta giù tanta. In due giorni sull’Emilia-Romagna è caduto l’equivalente di sei mesi di pioggia. Ma è solo la natura la responsabile delle 271 frane in 58 comuni (44 in provincia di Bologna, 90 in provincia di Ravenna, 103 in provincia di Forli-Cesena) o sono state determinanti certe scelte urbanistiche sbagliate in una regione dove sono censite 80.335 frane rispetto alle 620 mila contate in Italia?
Se le case e i condomini di Borgo Durbecco (Faenza) finiscono sotto acqua non sarà perché sono state costruite, anche in tempi recenti, cinque metri sotto la quota dell’argine del fiume?
Se Piazza Maggiore a Bologna non è allagata non dipende forse dagli avi dei bolognesi che scelsero un luogo di quindici metri sopra la quota del Reno?
Come mai in Romagna sono state realizzate meno casse di espansione rispetto all’Emilia?
Fare prevenzione è dunque possibile, ce lo insegna il buon senso dei nostri avi, specie quando le informazioni sono già disponibili e abbondanti. L’ambiente scientifico internazionale è addirittura molto preoccupato del fatto che queste informazioni rimangano li, senza fluire nella società.
Dati Ispra sottovalutati
L’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha autorevolezza scientifica e di informazioni ne ha fornite tante. Nella terza edizione del suo rapporto, ha aggiornato il quadro sinottico sul dissesto idrogeologico e le mappe nazionali della pericolosità da frana, quantificando anche gli indicatori di rischio.
I numeri emersi fanno riflettere: sono più di 6,8 milioni gli abitanti considerati a rischio alluvione e 1,3 milioni la popolazione a rischio frane. Mettendo insieme una pericolosità frane elevata o molto elevata e una pericolosità idraulica media, 55.609 km quadrati (il 18,4% del territorio nazionale) è dunque da considerarsi a rischio.
Nel dettaglio il rapporto di Ispra evidenzia come sono 4 le regioni (Veneto, Liguria, Emilia Romagna e Toscana) con una percentuale di popolazione e di famiglie esposte al rischio di alluvione superiore ai valori nazionali per tutti gli scenari di pericolosità.
Rischi Ispra: maggiori in Emilia-Romagna
La regione con la maggior percentuale di popolazione (62,5%) e famiglie (61,8%) a rischio di alluvione in uno scenario di pericolosità media è proprio l’Emilia Romagna.
Quanto agli edifici, sono oltre 623 mila (il 4,3% del totale) a ricadere in aree a pericolosità/probabilità elevata di alluvione. Le regioni con percentuale sopra la media sono Valle d’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana. Anche in questo caso, la percentuale regionale di rischio più alta in uno scenario medio è quella dell’Emilia Romagna (59%) e, tra le province, quella di Pisa, con il 37,9%.
Le regioni con percentuali di unità locali di imprese esposte a rischio di alluvione superiore ai valori medi sono Liguria, Emilia Romagna (prima con il 60,9% in caso di scenario medio) e Toscana (Pisa al 50,5%). Infine, per i beni culturali, si conferma prima l’Emilia Romagna (55,4%) sopra media con Veneto (Venezia prima tra le province, con riferimento allo scenario di pericolosità elevata, con il 62,1%), Friuli Venezia Giulia e Liguria.
Consumo di suolo
Sempre l’ISPRA denunciava nel 2015 come il consumo effettivo del territorio, nel dopoguerra, fosse schizzato mediamente al 10,8% (rispetto ad un dato medio europeo del 4,3%) con picchi impressionanti nel Veneto (14,7%), Lombardia (16,3%), Campania (17,3%) e Liguria (22,8%). Senza considerare i dati da brivido sul suolo consumato in aree a rischio idraulico. Con Emilia-Romagna e Toscana all’11%, Marche al 13% e Liguria al 30,1%.
Tanti ettari di cemento armato per costruire nel solo anno 2021 ben 658 ettari in Emilia-Romagna dove un sesto del territorio (il 14,6%) “è classificato a pericolosità elevata e molto elevata nei Piani di Assetto Idrogeologico”.
La mala gestione del territorio, la scarsa prevenzione, il disinteresse verso i dati Ispra, il dissesto idrogeologico che in molte zone d’Italia continua a presentare il conto, non possono più essere letti senza considerare l’impatto climatico. Il maltrattamento del nostro territorio provoca una vera e propria ribellione della natura, specie se lo sviluppo di attività fortemente antropiche si concentra in pochi spazi. Strade, case, ferrovie, ponti, zone industriali, allevamenti intensivi, non possono essere moltiplicati all’infinito senza impermeabilizzare il suolo. Per costruire nuovi quartieri e centri commerciali ogni giorno il consumo di suolo è pari a 19 ettari. Ma nella scorsa legislatura è stato impossibile approvare una legge contro il consumo suolo. I palazzinari non hanno voluto l’approvazione del disegno di legge della senatrice Paola Nugnes.
Crisi climatica
La crisi climatica in pochi mesi ci fa passare da una situazione all’altra, dalla siccità all’alluvione.
Negare l’esistenza di una crisi climatica, mentre ci arrivano cicloni nel mediterraneo è una miopia politica. Gran parte della comunità scientifica afferma che, per una parte significativa, questi cambiamenti climatici dipendano dalle nostre azioni. E ribadisce la necessità di abbattere le emissioni climalteranti.
Dopo le ultime alluvioni che hanno devastato Ischia e Senigallia, e quelle precedenti in Liguria, Piemonte, Calabria, Metapontino, Sarno, Polesine (negli anni 50) e altre località, basterà questa ennesima sciagura a farci acquisire una vera consapevolezza della gravità del problema?
L’Italia è ritenuta dagli scienziati un’area che rientra tra quelle suscettibili di crisi climatiche con maggior intensità e con conseguente impatto sui sistemi naturali e umani.
Eventi come quelli a cui assistiamo in queste ore – con migliaia di sfollati, persone annegate in casa o in auto, terreni inghiottiti dall’acqua, strade sepolte, case divorate, immobili distrutti e miliardi di danni – sono l’eccezione che sta già diventando norma. Non basta però commuoversi temporaneamente senza imparare nulla dalla lezione. Nè ha alcun senso attaccare l’Ispra o gli ambientalisti ideologici perchè hanno detto No alla diga negli Appennini o agli argini del fiume Misa.
Non sono, dunque, gli ambientalisti che arrecano danni all’ambiente.
Dal 2014, grazie allo “sblocca-Italia”, i presidenti di Regione sono anche commissari di governo contro il dissesto idrogeologico. Incarico che tutti i governatori italiani ricoprono ancora oggi. In Romagna ad avere la delega sulla cura del territorio negli ultimi anni è stata proprio Elly Schlein, in qualità di vicepresidente della Regione. Pur tuttavia emergono opere incompiute e una mancata pianificazione degli interventi necessari, come ha fatto notare anche la Corte dei Conti nella sua più recente relazione sul dissesto idrogeologico: “C’è carenza di tecnici unitamente alla scarsa pianificazione territoriale“.
E anche vero che dopo sette anni è stato finalmente sbloccato il piano nazionale di adattamento climatico. Sul portale del Ministero dell’Ambiente guidato dal Ministro Gilberto Pichetto, (link) è stata pubblicata la proposta di Piano aperta al contributo dei cittadini, delle comunità e di tutti i soggetti, pubblici e privati. La proposta di Piano, il Rapporto ambientale, la Sintesi non tecnica del Rapporto ambientale sono disponibili al link: https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/7726/11206 del portale delle Valutazioni ambientali del MASE.
In piena emergenza alluvione, è paradossale che la Liguria finisca nel mirino per il nuovo regolamento regionale dei piani di bacino. La giunta Toti ha infatti autorizzato le costruzioni nelle zone esondabili, scatenando le reazioni degli ambientalisti.
Tracimazioni dalle dighe sovrastanti e valutazione d’impatto
Per fare spazio all’acqua delle piogge la Diga di Ridracoli, situata nel forlivese a monte dell’area inondata, è stata svuotata per un livello di 60 cm. Così riferiscono gli addetti in un articolo apparso sul Corriere di Bologna. “La diga ha rilasciato sedici metri cubi d’acqua per un totale di 700mila metri cubi d’acqua a fronte dei trentatré milioni che può contenere al massimo delle sue capacità“.
Si rende forse necessaria un’accurata indagine giudiziaria al fine di calcolare la portata di acqua meteorica degli impluvi tenendo conto dei vari fattori:
- analisi pluviometrica su base statistica e in base all’effettiva quantità di pioggia caduta in due giorni;
- effettiva quantità di acqua tracimata dalle dighe per ragioni di sicurezza;
- linee preferenziali di deflusso partendo dalle informazioni della carta idrogeomorfologica dell’ Emilia-Romagna e valutazione dei reticoli significativi;
- classificazione dei suoli e determinazione della loro capacità di infiltrazione;
- valutazione dei rischio idraulico;
Le risorse non mancano e neppure le opere incompiute
Tra il 2015 e il 2022, l’Emilia-Romagna ha ricevuto 190 milioni per realizzare 23 casse di espansione dei fiumi, opere che servono ad evitare eventi di grande portata come quello attuale. Di quelle 23 casse, 12 sono state realizzate e funzionano a pieno regime, scrive il Quotidiano Nazionale, altre due funzionano in parte. Altre due sono ancora da finanziare mentre per nove i lavori non sono ancora conclusi.
Tra gli strumenti che finanziano la prevenzione dei rischi naturali, sia quelli causati dai cambiamenti climatici che quelli non legati direttamente al clima, vi è anche il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr). Le strategie relative all’utilizzo del Fesr consentono di comprendere meglio quale peso hanno l’adattamento al clima e la prevenzione dei disastri nelle scelte pubbliche di investimento e in quale misura il paese continui a perseverare nell’errore di considerare secondari questi problemi.
Invece di sprecare risorse sui laghetti, che pure servono per le fasi di siccità, pensiamo alla manutenzione degli argini dei fiumi (in alcuni casi le gallerie scavate dalle nutrie, specie non protetta, sono uno dei motivi dei crolli e delle esondazioni) e ai canali che si sono ridotti di sezione e larghezza o alle dighe piene di sedimenti. Senza considerare i tagli senza criteri degli alberi nelle golene o le occupazioni abusive delle aree demaniali contigue agli argini.
Può darsi che prevenire i disastri ambientali non porti voti, ma piuttosto che parlare di maltempo per non disprezzare le vite perdute bisogna allora parlare di malgoverno. E’ tempo di prendere atto che viviamo in un territorio a rischio e che nella storia del dissesto il tributo di sangue dipende proprio dalla sottovalutazione del pericolo.
Salvaguardare il Creato è un lascito per le generazioni future, un dovere che prescinde da ogni questione ideologica e da ogni maglietta politica. Se il pianeta cessa di offrire condizioni conformi alle nostre esigenze fisiologiche ed evolutive, tutto il resto cessa di avere significato: l’economia, la geopolitica, la tecnologia, la produzione, la cultura e tutti i sogni di progresso.
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