L’ITALIA DEI DUE TERZI SENZA SUD NON VA DA NESSUNA PARTE, SE NE ACCORGE PERSINO REPUBBLICA

 

Eppur si muove. Le grosse testate nazionali, di quando in quando, si ricordano dell’esistenza del Sud.

Oggi la Repubblica arriva addirittura ad ammettere che per decenni è valso il cosiddetto “teorema dei due terzi”. In base a questo teorema, l’Italia è forte se due terzi di essa si sviluppano e consolidano tale sviluppo: cioè, nemmeno a dirlo, il Centro-Nord.

E dopo ogni crisi, a trarre vantaggio dalla ripartenza e dalle strategie per attuarla sono stati questi due terzi, appunto, fin dal dopoguerra.

Il fatto è che questa dinamica, come ripeto spesso, è il frutto di una precisa scelta politica: privilegiare alcune aree del paese a discapito di altre. Foraggiando i grossi poli manifatturieri , tecnologici, agricoli del Centro-Nord e drenando a tal scopo verso quei territori le risorse per scuole, università, infrastrutture ecc. Al sud? Bassa tecnologia, frammentazione, turismo e ristorazione quando va bene, senza reti infrastrutturali degne di questo nome, con depauperamento di personale qualificato nelle pubbliche amministrazioni e migrazioni delle risorse intellettuali. Diciamo pane al pane e vino al vino.

La novità che ci stupisce in positivo è che finanche Repubblica, dopo aver letto il Rapporto SVIMEZ di qualche giorno fa, si chiede: “Non è forse questo falso convincimento (cioè il teorema dei due terzi) il punto più debole della nostra storia unitaria? Può competere a lungo un’Italia dei terzi?”

Ovvio che no. E noi che il sud lo viviamo tutti i giorni lo sappiamo da sempre. Con buona pace di qualche direttore di giornale del Mezzogiorno che esorta a non fare i “disfattisti”. Per poter recuperare l’ottimismo bisogna innanzitutto osservare lucidamente la realtà e vigilare sempre, ricordando che la storia è maestra.

In ogni caso, Repubblica questa consapevolezza la acquisisce dai dati SVIEMZ, dicevamo. Illuminata sulla via di Damasco. E che cosa emerge da quei dati? Sicuramente ci sono elementi positivi, per la gioia del direttore di cui sopra. Il PNRR aiuterà il Sud a recuperare il ritardo. Ma, come scrivevo giusto ieri, il PNRR non è un intervento strutturale e dunque “non basterà a ridurre le distanze tra le due Italie”. E già!

Certo, è vero che “dopo decenni di disinteresse” (dov’erano, in quegli anni, i capiservizio di Repubblica?), finalmente arriveranno massicci investimenti.

Ma i dati sulle disparità, sulle disuguaglianze, sui servizi assolutamente inadeguati non cambieranno magicamente da un giorno all’altro.

Tanto più che, come rileva lo SVIMEZ, se questa volta il sud ha reagito meglio alla crisi, la distanza rimane considerevole. Un dato per tutti: il reddito pro capite medio annuo al Sud è di 19.000 euro, nelle regioni più ricche arriva a 35.000 euro.

È vero, le previsioni SVIMEZ ci parlano di una crescita per il Sud nei primi due anni post-pandemia (2022-2023) sostenuta e quasi (e ribadisco quasi) al passo con quella del Centro-Nord. Ma è anche vero che nel 2024 ritorneranno le differenze. Questo, per Repubblica, costituisce una “notevole divaricazione, foriera di ulteriori squilibri territoriali”.

Che cosa bisogna fare allora?

Innanzitutto, aiutare seriamente i Comuni ad affrontare la sfida del PNRR. Pare che il governo su questo abbia provveduto a rimediare agli errori commessi con il precedente Concorso Sud (vicenda sulla quale, per inciso, ho anche presentato un’interrogazione). Bisogna immettere, e presto, linfa vitale di competenze e risorse umane per realizzare i progetti. Una buona idea è la proposta di questi giorni – oltre alle altre forme di reclutamento – di consentire all’Agenzia per la coesione territoriale di reclutare professionisti per aiutare gli enti locali nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Io ho anche proposto di congelare per un anno la rendicontazione finanziaria dei comuni in dissesto o predissesto, proprio per consentirgli di cogliere appieno l’occasione del PNRR. Proposta accolta con favore da alcuni colleghi senatori. E ho presentato un emendamento per destinare dieci milioni in più rispetto alla vecchia dotazione ai piccoli comuni.

Se non si mette il sud nelle condizioni di sfruttare la leva del Recovery, “ne riceverà un danno anche il Centro-Nord”, scrive Repubblica. Per quel famoso effetto rimbalzo di cui ho parlato spesso, confortato dai numeri di autorevoli economisti.

Magari queste saranno le paroline magiche che convinceranno anche le classi dirigenti del nord ad andarci cauti con egoismi territoriali e cupidigia fiscale.

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