Le conseguenze della guerra sull agroalimentare italiano

L’agroalimentare italiano è da troppo tempo dipendente dalle importazioni. Gli ultimi avvenimenti globali, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo in evidenza come il nostro sistema sia fragile: siamo preda non solo della mancanza di materie prime fondamentali come il grano, il mais ma anche delle speculazioni che arrivano a colpire i consumatori, i trasformatori e gli agricoltori quasi in tempo reale.

Fa bene il governo a denunciare sulle materie prime agricole una speculazione simile a quella in atto sulla benzina, come ci era già capitato di dire appena intravedemmo le conseguenze della crisi. Per questo serve un intervento stabile di coordinamento come quello che da tempo auspichiamo con l’istituzionalizzazione del CUN (tavolo della commissione unica nazionale sul grano) che deve divenire permanente, non più sperimentale.

Un più 82% per il frumento duro è del tutto slegato dalla realtà, infatti non lo importiamo nemmeno dall’Ucraina o dalla Russia, e anche il 32% del tenero è notevole.

Resta la questione irrisolta della mancanza di produzioni adeguate al nostro fabbisogno alimentare ed industriale, non è più pensabile che si prosegua in questo modo: il 60% del grano duro, il 35% del tenero e il 53% del mais proviene dall’estero, qualcosa non funziona.

I provvedimenti che il governo ha annunciato sono positivi e somigliano un po’ a quelli presi durante la prima parte della pandemia ma non risolvono ancora la questione, il ministro propone anche di prorogare, giustamente, quelli previsti per il covid.

La moratoria semestrale dei mutui, le misure specifiche per le aziende energivore, la sospensione dei contributi previdenziali, la semplificazione degli adempimenti per l’accesso ai finanziamenti ci trovano d’accordo. Restano lì, però, la speculazione e la nostra dipendenza dall’estero che solo una politica agricola radicalmente mutata e concertata a livello europeo potrà contrastare.

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