LA BELLEZZA DELLE AREE INTERNE E COSA FARE PER SALVARLE

 

Quando il centro diventa un deserto, è il margine a contenere ancora delle “promesse di fertilità”. Lo dice un bellissimo articolo pubblicato sull’Espresso.

Che cosa è accaduto in questi anni? È accaduto che le aree interne, che pure coprono il 60% del territorio nazionale e sono abitate da circa dieci milioni di persone, siano state lasciate sempre di più al loro destino da una politica miope che fonda la sua azione su un’idea malsana di sviluppo fatta di grandi metropoli, iper-industrializzazione, urbanizzazione, concentrazione di potere e ricchezza.

Io, personalmente, ci vedo un nesso tra questo grossissimo equivoco e l'”inverno demografico” su cui lancia l’allarme ISTAT. Ma quella è un’altra storia (forse).

Fatto sta che i territori “marginali” – da Nord a Sud- sono stati lasciati allo spopolamento, alla mancata cura del tessuto idrogeologico, all’abbandono per mancanza di lavoro, di servizi e in definitiva di “desiderio”.

Eppure sarebbe proprio la sua composizione così variegata a fare dell’Italia una nazione tanto speciale, se si avesse il coraggio, la lungimiranza, la cura di esaltarne gli aspetti positivi con politiche mirate invece di aggravarne quelli negativi con l’indifferenza. Negli anni scorsi alcuni volenterosi ministri hanno cercato di affrontare seriamente la questione, ma senza risultati duraturi. Qui, però, il punto non è la buona volontà dei singoli, ma la visione di ampio raggio che uno Stato vuole seguire per prendersi cura della sua nazione.

Sono condivisibili alcune proposte pratiche avanzate dal giornalista dell’ Espresso. La prima sul metodo: inutile fare comparsate spot e mandare fondi senza una programmazione ponderata. Pensare, insomma, che basti erogare qualche manciata di milioni per lavarsi la coscienza. Innanzitutto, bisogna fare in modo che i paesi, le comunità locali, le aree interne, montane e collinari abbiano servizi efficienti e moderni: sanità, trasporti, scuole. I servizi precedono l’economia, ne sono l’indispensabile impalcatura. Poi, è giusta l’idea di mandare degli esperti, pochi ma buoni, a vivere per un po’ la realtà dei territori in modo da indirizzare meglio e accelerare le risorse che dovrebbero arrivare dal centro politico e di governo.

Mi piace particolarmente, per ovvie ragioni che riguardano la mia storia personale e politica, l’idea che in una seria azione a favore delle aree interne il “fuoco non possa che essere l’agricoltura”. “Perché parlare di paesi significa essenzialmente parlare di terra”. Attenzione, però: non l’agricoltura monocolturale, intensiva, basata sui pesticidi che imperversa oggi, e nemmeno la zootecnia dei monopoli e delle soccide tenute in vita per eludere il fisco e inquinare le falde. Bisogna incentivare, e in questo ancora una volta ritorna in campo la politica, nuove forme agricole che coniughino innovazione e pratiche antiche ecocompatibili, per una “agricoltura organica e rigenerativa”.

Tanto ci credo a questa visione che ho appena presentato alcuni emendamenti alla manovra di bilancio per l’istituzione di zone franche rurali nei piccoli Comuni, oltre ad altre misure per aiutare realmente gli agricoltori, anche quelli più anziani, per abolire l’assurdo istituto della soccida e per incoraggiare l’agricoltura biologica, che a mio avviso nelle aree interne, soprattutto del Sud, trova un suo sbocco naturale (https://www.facebook.com/178948469536215/posts/1114375245993528/?d=n).

Ma diciamoci la verità. Come ho già ribadito, non bastano singoli volenterosi. Serve un cambio collettivo di paradigma, che proprio nel ripopolamento delle aree interne può trovare la sua prima, grande sfida da vincere. Servono “servizi, sviluppo locale, desiderio”. E per questo è necessaria la politica fatta di visione, ideali, lungimiranza, capacità di leggere il presente e anticipare, o scongiurare il futuro.

Io voglio immaginare un’Italia con i suoi borghi fiorenti, legati alle città ma da essa autonomi, un’Italia che rispetta e cura la terra e il suo patrimonio idrogeologico, un’Italia che innova senza violentare la natura. Un’Italia che crei nuove forme di lavoro, di convivenza, di crescita e di sviluppo. Un’Italia, e soprattutto un #Sud, insomma, che indichino la strada all’Europa.

 

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