EQUITÀ SANITARIA: I BAMBINI NATI AL SUD DEVONO POTERSI CURARE AL SUD

 

Perché i neonati meridionali devono avere un tasso di mortalità superiore rispetto ai bambini nati al nord?

Perché discriminare il sud anche con riferimento ai bambini?

Di pochi giorni fa è lo studio scioccante della Società italiana di pediatria, di cui abbiamo già reso conto, secondo cui le disuguaglianze territoriali comportano un rischio maggiore del 50% di mortalità infantile per i neonati e bambini meridionali.

Il che è paradossale, visto che proprio al Sud si conta il maggior numero di nascite.

Questo dato fa il paio con una migrazione sanitaria dal Sud verso il Nord ancora oggi abnorme nel paese dell’assistenza universale per eccellenza. Se il dato complessivo dell’Italia la pone in testa alle classifiche mondiali per qualità e quantità dell’assistenza ospedaliera, neonatale e non, emerge anche lo squilibrio evidente tra Nord e Sud.

La ministra Carfagna ha deciso di intervenire pubblicamente sul Mattino di Napoli, a partire da questo tema, per rivendicare la sua azione politica e per ribadire la necessità di porre fine al “divario di cittadinanza”. Le sue origini campane certamente la spingono a guardare con occhi più obiettivi ciò che accade da decenni nel nostro paese.

Eppure, non possiamo non ricordare alla ministra che fa parte di una coalizione che negli ultimi trent’anni ha portato avanti con ostinato zelo le istanze del Nord.

Quel diritto costituzionale che lei oggi rivendica come imperativo è stato puntualmente ignorato fin dai tempi della riforma del Titolo V della Costituzione.

La richiesta di federalismo e di autonomia rispetto al centralismo statale si è tradotta fin da subito, in Italia, in una istituzionalizzazione della disuguaglianza geografica.

La riforma fiscale è stata portata avanti con spietata lucidità in modo tale da ridurre sempre di più i trasferimenti statali al Sud. E negli anni del rigore e dell’austerità, la smania aziendalista di “far quadrare i conti” ha fatto corto circuito con la tendenza federalista, lasciando i territori meridionali completamente sguarniti e desertificati. Nella sanità in primis, ma anche in tutti gli altri settori che costituiscono la base del benessere collettivo: asili, scuole, treni, infrastrutture ecc.

Esistono nella sanità le punte di eccellenza, certo, come rileva oggi il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità nonché coordinatore del Comitato tecnico scientifico. Ma se la macchina generale non gira, quelle eccellenze non fanno sistema. Locatelli addebita questo gap, con garbo istituzionale, certo, alle troppe nomine politiche che si farebbero al Sud. E si ritorna sempre al punto di partenza: le incapacità gestionali della classe dirigente meridionale. Ma a me non risulta affatto che al Nord non valgano le logiche politiche nelle nomine dei manager. Principio discutibile, naturalmente, ma se viene applicato in tutto il paese allora non può essere quella la causa dell’arretratezza della sanità meridionale.

No, mi dispiace. Il peccato originale è un altro, sempre quello. Meno trasferimenti statali al Sud rispetto al Nord. Inutile girarci attorno.

E questo lo ammette anche la ministra Carfagna, visto che anche lei ritorna ancora una volta sulla questione delle questioni: i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Ecco cosa scrive lei: “In teoria, dal 2011, esiste una norma molto precisa che obbliga a suddividere il Fondo sanitario tra le Regioni tenendo conto di parametri come la deprivazione sociale o la minore attesa di vita. È una legge che doveva aiutare a colmare le disuguaglianze, tenendone conto nella distribuzione delle risorse. In pratica, però, l’attivazione di questo tipo di riparto è subordinata all’intesa tra le Regioni. E siccome in questi dieci anni l’accordo non si è mai trovato, i soldi sono stati suddivisi ancora ‘alla vecchia maniera’, sulla base del principio della spesa storica: chi ha molto ottiene molto, chi ha poco ottiene poco”.

Ci fa piacere che Carfagna si sia accorta della mostruosità del criterio della spesa storica, su cui noi meridionalisti alziamo la voce da anni. Eppure anche lei, come il professor Locatelli, scarica la responsabilità da un’altra parte, nel suo caso sulle Regioni. Dunque il divario che si aggrava da decenni è colpa dei litigi tra Regioni? Non dovrebbero essere lo Stato e i governi a garantire la cornice, costituzionale e legislativa, entro cui fermare questa ingiustizia storica e colmare gli squilibri territoriali, come chiede espressamente anche l’Europa?

Perché, chiedo alla Ministra, la sua collega di partito e di governo Mariastella Gelmini parla di ridare slancio all’autonomia differenziata senza fare il minimo accenno ai Lep e ai fabbisogni standard?

Peraltro, io non ho dimenticato ciò che la ministra Carfagna ha detto nei giorni caldi del PNRR, accodandosi a Draghi, e cioè, in sostanza, che è inutile che al Sud arrivino più soldi se poi non si è capaci di spenderli. Oggi corregge un po’ il tiro, affermando che “il Sud non è ‘pigro’ ma sfiduciato”. Ma la sfiducia, cara ministra, non nasce nel vuoto. Nasce invece proprio da quell’iniquo trattamento che lei fino a ieri non ha voluto riconoscere.

Altrimenti avrebbe ammesso pubblicamente – e si sarebbe battuta di conseguenza – che il 40% del Recovery al Sud è una palese ingiustizia che va contro i regolamenti europei. Purtroppo, siamo ancora allo stadio del paternalismo nordista verso il ‘povero’ Sud.

Fino a quando queste questioni non diventeranno la bussola valoriale lungo la quale muoversi, le intenzioni della Carfagna, per quanto probabilmente in buona fede, manterranno ancora il sapore di una pia elargizione.

In ogni caso, a ben pensarci, le dichiarazioni della Carfagna non destano molte preoccupazioni.

Infatti, prima coinvolgeva la Gelmini a sposare politiche meridionaliste, ma questa ha ricambiato riproponendo il tema delle autonomie differenziate; poi, invitava Salvini ad entrare nel PPE, ma questi faceva la carta dei sovranisti con Orban.

Il Sud ha le competenze e le potenzialità per prendersi cura dei suoi bambini, dei suoi giovani e dei suoi anziani esattamente quanto il Nord.

Ha risorse naturali, imprenditoriali e umane per rilanciare il proprio sviluppo.

Ciò di cui ha bisogno il Sud è una cosa sola: #equità.

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